La leggenda di Re Carnevale
Secondo la leggenda, Carnevale era un Re, forte e potente, ma soprattutto generoso.
Le porte del suo palazzo erano sempre aperte e chiunque poteva entrare nelle cucine della reggia, fornite di cibi prelibati, e saziarsi a volontà.
Ma i sudditi,invece di rallegrarsi di avere un sovrano così generoso, approfittarono del suo buon cuore e a poco a poco si presero tanta confidenza,
da costringere il povero re a non uscire più dal suo palazzo per non essere fatto oggetto di beffe ed insulti.
Egli allora si ritirò in cucina e lì rimase nascosto, mangiando e bevendo in continuazione.
Ma un brutto giorno,era sabato, dopo essersi abbuffato più del solito,cominciò a sentirsi male.
Grasso come un pallone,il volto paonazzo ed il ventre gonfio, capì che stava per morire; la sua ingordigia lo aveva rovinato.
Tutto sommato era felice per la vita allegra che aveva condotto, ma non voleva andarsene così, solo, abbandonato da tutti, proprio lui, il potente Re Carnevale.
Si ricordò allora di avere una sorella, una donnina fragile, snella e un pò delicata, di nome Quaresima, che lui, un giorno, aveva cacciato di corte.
La mandò a chiamare e lei, generosa, accorse; gli promise di assisterlo e farlo vivere altri tre giorni, domenica, lunedì e martedì, ma in cambio pretese di essere l’erede del regno.
Re Carnevale accettò e passò gli ultimi tre giorni della sua vita divertendosi il più possibile.
Morì la sera del martedì e sul trono, come precedentemente avevano stabilito, salì Quaresima.
Per risollevare l’economia del regno, lavoro duro e grosse penitenze furono le caratteristiche del suo governo.
da Favoleefantasia
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In una città del regno di Feltro
– Feltro, c’era una volta un cappello senza testa che passeggiava per le strade. Oltre che senza testa, il cappello era anche senza pancia, senza piedi e senza mani. Insomma, era senza niente. La gente diceva: E’ scappato dalla bottega del cappellaio. E’ un cappello pericoloso, portatelo in prigione. Calma disse il cappello oggi è la festa di Carnevale e, come tutti sanno, a Carnevale ogni scherzo vale. Proprio così. Il cappello aveva scherzato e aveva voluto spaventare la gente. Alla fine della festa, infatti, tornò sulla testa del re. Da allora, nel regno di Feltro – Feltro, nel giorno di Carnevale i cappelli vanno a passeggio da soli.
G. Rodari
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La storia di Arlecchino
C’era una volta un bimbo tanto carino e buono, di nome Arlecchino, al quale tutti volevano un gran bene.
Era il tempo di Carnevale e tutti i bambini pensavano alle loro mascherine. Le mamme cucivano e misuravano le belle stoffe lucide per preparare i costumi più belli ai loro figlioletti. Anche nella classe di Arlecchino tutti i compagni parlavano della loro prossima festa.
-E tu, come ti mascheri?- chiese uno di essi ad Arlecchino.
-Io?…Io non non mi maschererò – rispose il bimbo piegando la testa con tristezza. – I miei genitori sono poveri e non posso spendere.-
Il giorno dopo ogni bambino portò un pezzetto di stoffa per aiutare a fare il vestito al bimbo più povero. Ma i pezzi erano di tanti colori perchè ognuno aveva portato pezzi diversi.
-Non fa niente!- disse Arlecchino. -La mia mamma è così brava che saprà farmi lo stesso un bel vestitino, vedrete! E io sarò contento che sia di tanti colori, perchè ogni colore mi ricorderà un amico.-
Il giorno di martedì grasso, infatti, Arlecchino indossò il suo strano costumino che piacque moltissimo a tutti. Essendo formato di tanti vivaci colori, fu il più allegro e il più ammirato dagli scolari.
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La fuga di Pulcinella

Pulcinella era la marionetta piú irrequieta di tutto il vecchio teatrino. Aveva sempre da protestare, o perché all’ora della recita avrebbe preferito andare a spasso, o perché il burattinaio gli assegnava una parte buffa, mentre lui avrebbe preferito una parte drammatica. «Un giorno o l’altro,- egli confidava ad Arlecchino, – taglio la corda». E cosí fece, ma non fu di giorno. Una notte egli riuscí a impadronirsi di un paio di forbici dimenticate dal burattinaio, tagliò uno dopo l’altro i fili che gli legavano la testa, le mani e i piedi, e propose ad Arlecchino: «Vieni con me».Arlecchino non voleva saperne di separarsi da Colombina, ma Pulcinella non aveva intenzione di portarsi dietro anche quella smorfiosa, che in teatro gli aveva giocato centomila tiri. «Andrò da solo» decise. Si gettò coraggiosamente a terra e via, gambe in spalla. «Che bellezza, – pensava correndo, – non sentirsi piú tirare da tutte le parti da quei maledetti fili. Che bellezza mettere il piede proprio nel punto dove si vuole».Il mondo, per una marionetta solitaria, è grande e terribile, e abitato, specialmente di notte, da gatti feroci, pronti a scambiare qualsiasi cosa che fugge per un topo cui dare la caccia. Pulcinella riuscí a convincere i gatti che avevano a che fare con un vero artista, ma ad ogni buon conto si rifugiò in un giardino, si acquattò contro un muricciolo e si addormentò. Allo spuntare del sole si destò e aveva fame. Ma intorno a lui, a perdita d’occhio, non c’erano che garofani, tulipani, zinnie e ortensie. «Pazienza» si disse Pulcinella e colto un garofano cominciò a mordicchiarne i petali con una certa diffidenza. Non era come mangiare una bistecca ai ferri o un filetto di pesce persico: i fiori hanno molto profumo e poco sapore. Ma a Pulcinella quello parve il sapore della libertà, e al secondo boccone era sicuro di non aver mai gustato cibo piú delizioso. Decise di rimanere per sempre in quel giardino, e cosí fece. Dormiva al riparo di una grande magnolia le cui dure foglie non temevano pioggia né grandine e si nutriva di fiori: oggi un garofano, domani una rosa. Pulcinella sognava montagne di spaghetti e pianure di mozzarella, ma non si arrendeva. Era diventato secco secco, ma cosí profumato che qualche volta le api si posavano su di lui per suggere il nettare, e si allontanavano deluse solo dopo aver tentato invano di affondare il pungiglione nella sua testa di legno. Venne l’inverno, il giardino sfiorito aspettava la prima neve e la povera marionetta non aveva piú nulla da mangiare. Non dite che avrebbe potuto riprendere il viaggio: le sue povere gambe di legno non lo avrebbero portato lontano. «Pazienza – si disse Pulcinella- morirò qui. Non è un brutto posto per morire. Inoltre, morirò libero: nessuno potrà piú legare un filo alla mia testa, per farmi dire di sì o di no». La prima neve lo seppellí sotto una morbida coperta bianca. In primavera, proprio in quel punto, crebbe un garofano. Sottoterra, calmo e felice, Pulcinella pensava: «Ecco, sulla mia testa è cresciuto un fiore. C’è qualcuno piú felice di me? » . Ma non era morto, perché le marionette di legno non possono morire. E’ ancora là sotto e nessuno lo sa. Se sarete voi a trovarlo, non attaccategli un filo in testa: ai re e alle regine del teatrino quel filo non dà fastidio, ma lui non lo può proprio soffrire.
Di: G.Rodari
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E così fu Carnevale

Nel cuore della savana, in un tempo molto lontano tutti gli animali che oggi riconosciamo per le loro caratteristiche, avevano un aspetto ben diverso a quello attuale. In particolare la giraffa non aveva un collo diverso da tutti gli altri, e l’elefante aveva la stessa statura degli altri animali. Ma accaddero due episodi assai curiosi. La giraffa era sempre stata impicciona, e si nascondeva tra i cespugli per ascoltare i discorsi delle bestie della foresta. Ovviamente la giraffa non riusciva mai a mantenere un segreto, e per questo non era molto amata dagli altri animali. Nonostante ciò, il goffo animale continuava ad origliare e ad allungare la testolina per spiare tutti quanti. La sua curiosità, però, ben presto fu motivo di uno strano incidente: infatti, mentre un giorno la giraffa era nascosta dietro una roccia ad aspettare qualcuno da spiare, non vedendo arrivare nessuno allungò il collo, e rimanendo in quella posizione per ben tre ore alla fine si accorse che il suo corpo era cambiato.
Tanto era rimasta affacciata che il suo collo si era allungato, e non sarebbe più tornato come prima! Così da quel momento la giraffa diventò un animale molto riservato, e non si impicciò mai più degli affari altrui. Nello stesso periodo avvenne un episodio molto simile a quello della giraffa. Infatti anche l’elefante, che era un animaletto piccolo ed esile, aveva un brutto vizio: era molto ingordo, e voleva essere pasciuto, servito e riverito dagli altri animali. Per di più, ogni volta che nessuno faceva la guardia alle provviste, l’elefante divorava ogni cosa fino all’ultima briciola.
Tutte le creature, stanche delle sue prepotenze, si riunirono di nascosto e decisero di porre fine alle angherie dell’elefante. Fino a quel momento, ogni ragionamento non era servito a niente, così si arrivò ad adottare rimedi estremi. Gli animali, avviliti per la situazione, discussero a lungo fino a che, di comune accordo, decisero di dargli una bella lezione. Anche la giraffa, che aveva già imparato ad avere rispetto per gli altri, fu pienamente d’accordo con gli altri animali, e tutti insieme invitarono l’elefante prepotente in un prato dove avevano preparato un ricco banchetto. L’elefante aveva accettato ben volentieri, tutto contento di essere venerato dagli altri. Ma dopo aver mangiato come solo un elefante può fare, gli furono servite altre pietanze, ed altre ancora. Sdraiato sull’erba, si sentì gonfio come un pallone. Non riuscì ad alzarsi per tre giorni, tanto si era abbuffato. L’elefante, alquanto malandato a causa di quel gonfiore, andò ad immergersi nello stagno per darsi una rinfrescata. Fu lì che specchiandosi nell’acqua dello stagno, vide che il suo corpo era rimasto tutto gonfio, enorme, pesante!
La sua ingordigia lo aveva trasformato per sempre. Quando la giraffa lo vide conciato a quel modo, lo consolò raccontando la sua esperienza. Di lì a poco, toccò alla scimmia, che a quel tempo era l’animale più vanitoso della foresta. Il motivo di tanta vanità era il suo meraviglioso pelo, molto simile a quello di uno scoiattolo. È difficile da credere, ma anche la sua coda era folta e vaporosa! La scimmia, piena di sé, guardava tutti gli altri con aria di sufficienza, perché riteneva che nessuno fosse tanto grazioso da meritare di stare accanto a lei. Anche stavolta, gli animali, sconfortati per la circostanza, discussero a lungo, e sempre di comune accordo, decisero di dare una lezione memorabile anche alla scimmia vanitosa. Dopo aver costruito una specie di passerella, ognuno di loro si procurò una torcia. Tutti insieme invitarono la scimmia a fare una sfilata per loro, e spiegarono a quella sciocca bestiola che le torce servivano a creare le luci adatte allo spettacolo. La scimmia colse subito l’occasione di sfoggiare la sua meravigliosa pelliccia, ma l’aspettava una brutta sorpresa. Infatti, mentre al scimmia si pavoneggiava, tutti gli animali lanciarono le torce addosso alla sciagurata, che per non bruciare viva corse verso lo stagno.
Quando uscì dall’acqua, la scimmia aveva il pelo così rovinato che divenne la creatura più brutta e malridotta del genere animale. In quell’istante passò da quelle parti il Leone, il Re di tutti gli animali, e si meravigliò di fronte a quella trasformazione! La giraffa, l’elefante e la scimmia, avevano cambiato aspetto, e si disperavano al pensiero di non tornare più come prima……Il saggio leone, allora, cercò di trovare una soluzione, e così decise di dare una festa in maschera per tutti gli animali, così che i tre stolti amici non si sentissero fuori luogo. Tutti gli animali furono felici, e la festa fu chiamata Carnevale. Tutti erano travestiti, e nessuno poteva riconoscere nessun altro. La giraffa, la scimmia e l’elefante, per quel giorno di festa, dimenticarono la loro disavventura, ma dopo il Carnevale, nulla tornò come prima!/div>
Rossana Costantino da ilpaesedeibambinichesorridono
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