Poesia e disegni su Halloween

Schede da colorare su Halloween: Discriminiamo grandezze e coloriamo i fantasmini come indicato  Riconosciamo e completiamo alcuni simboli di Halloween.     Ecco una simpatica e facile filastrocca da memorizzare. IL FANTASMINO SONO UN FANTASMINO BIANCO E BIRICHINO, TRA UNO SCHERZETTO E UN DOLCETTO MANGIO TANTI CONFETTI, MI PIACE GIOCARE A NASCONDINO CON I BAMBINI, MI […]

Ombrello per riparare i fiori in autunno

Addobbi e lavoretti per l’ autunno

Quest’ anno il nostro autunno è arrivato con la pioggia , i fiori  si sono riparati con un simpatico ombrellino a pois bianchi e per ripararsi dal primo venticello hanno indossato dei  simpatici cappellini .

Ombrello per riparare i fiori in autunno

muralescon porta autunnale

Il nostro alberello invece, si è adornato con foglie animate e spiritose, riciclo dello scorso anno, mentre dei piccoli funghetti  fanno compagnia alla scimmietta e ai gufetti che hanno fatto dell’albero la loro casettaAlbero autunnale addobbato con foglie animate

Ad accogliere i bimbi ogni mattina ci sono dei piccoli ombrellini con una pioggerellina  delicata

Per realizzare questi alberelli abbiamo seguito questo tutorial , e detto tra noi,non son così belli come nel video

Ombrellino per addobbare l' aula in autunno

Per l’aula abbiamo usato addobbi realizzati lo sorso anno e che troverete  qui.

Piove piove dappertutto

Cielo grigio. Tempo brutto.
Piove, piove dappertutto.
Fan la doccia i fiorellini
nelle aiuole dei giardini
e, nell’orto, il seminato
beve l’acqua d’un sol fiato.
Io, se piove, non mi cruccio
vado a spasso col cappuccio.

http://www.filastrocche.it

LA PRIMA PIOGGIA

Scendono le gocce della prima pioggia
che sui selciati ancor timida batte,
mentre settembre lietamente sfoggia
l’ardire delle sue bacche scarlatte.
E’ dolce il chiacchierìo di tante foglie
in capannelli sugli alberi spessi
come quello che fan sopra le soglie
le comari che parlan di interessi.
E invece tante foglie chiacchierine
parlano dell’autunno che ritorna
e che, sotto la pioggia fin fine,
di pampini e di bacche agile s’orna.

Marino Moretti

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Primo giorno di scuola

Racconti per l’ inizio dell’ anno scolastico

Primo giorno di scuola sul mare
C’era una volta, e c’è ancora, un gabbiano di nome Germano.
Germano è un tipo speciale: è un maestro gabbiano e quindi è molto considerato nella sua comunità. Ma ora vi racconto cosa è accaduto.
Quel primo giorno di scuola era proprio una giornata particolarissima per due motivi: primo, Germano festeggiava il suo decimo anno dell’ incarico; secondo: la giornata si preannunciava un po’ burrascosa e non sarebbe stata una lezione facile quella da tenere con i piccoli gabbiani!
Quando furono tutti in fila, Germano li guardò: erano tutti ansiosi di incominciare le lezioni di volo speciale. Alcuni erano spaventati e cercavano di nascondere il loro tremore. Volare e volare bene, con intelligenza e buon senso non era facile, anche se l’istinto li avrebbe aiutati.
Il vento era ancora di modesta entità, ma guardando le nuvole nere che si avvicinavano minacciose, Germano avvisò:
“Cari ragazzi, questa prima lezione non sarà facile, dovrete avere coraggio e saggezza, per affrontare la prima burrasca della vostra vita!”
Il bulletto in prima fila osservò:
“Io sono pronto, non ho certo paura!”
“Mi fa piacere sapere che sei coraggioso, ma poi vedremo se saprai anche applicare la tua dote con astuzia e competenza!”
Il bulletto aprì le ali e scrollò infastidito il capino in risposta all’osservazione di Germano, che nel linguaggio degli uccelli vuol dire: cosa credi, che io non sappia il fatto mio?
Tutti guardarono immobili Germano: cosa avrebbe fatto il grande maestro a quell’insolente?
Ma Germano sapeva di dover aspettare, che la lezione sarebbe arrivata, col tempo!
Quand’ ecco un nuovo arrivo: un piccolo gabbiano si stava avvicinando al gruppo, saltellando malamente. Il bulletto accolse il nuovo arrivato con un sogghigno:
“Che ci fa Senza-zampa a scuola?”
“Zitto tu!” replicò un gabbianello grigio infastidito.
“Certo, tutti sono a scuola per imparare e la prima lezione sarà proprio accettare tutti, ciascuno con le proprie differenze!” confermò Germano, il maestro gabbiano, mentre il cielo si oscurava in fretta e il nuovo venuto, rivolgendosi con simpatia al gruppo disse:
“Buongiorno maestro, salve ragazzi, scusate il ritardo…”
“Ricorda, piccolo gabbiano, arriva sempre puntuale ai tuoi appuntamenti con la vita, sii preciso e attento e la vita stessa ti premierà per la tua costanza e ti insegnerà i suoi segreti!” aggiunse Germano.
I gabbianelli nascosero in segno di soddisfazione la testa sotto l’ala sinistra. Solo il bulletto di turno sbruffò un poco, senza farsi troppo notare: il gruppo non lo degnava di uno sguardo, peccato!
Il mare intanto si faceva minaccioso e i cavalloni s’infrangevano sulla spiaggia sabbiosa creando gorghi impetuosi sull’arenile. Tra breve si sarebbero scatenate anche le nubi con il loro carico di pioggia. Qualche gabbiano adulto volava basso, lanciando striduli gridi di avvertimento, mentre il vento cominciava a far vibrare tutto lì attorno e i piccoli della scuola del maestro Germano rabbrividirono un poco, arruffando le piume, mentre lo ascoltavano:
“Seconda lezione: come trovare riparo prima che si scateni la tempesta! Guardate e fate lo stesso…”
Tutti partirono con lui, ma non era facile volare controvento. Germano si accorse che il più piccolo aveva qualche difficoltà: pigolava e indietreggiava mentre il piccolo stormo stava facendosi largo nella furia. Germano pensò che aveva visto burrasche peggiori, ma per i piccoli era una bella prova!
Germano diede qualche consiglio al gruppo e poi si voltò verso il piccolo impaurito, ma prima di affiancarsi a lui, si accorse che Senza-zampa aveva già avviato la strategia di salvataggio. Con maestria si era messo davanti a lui, seguendo gli sbandamenti del compagno, lo stava affiancando correggendo la rotta di volo controvento e incitandolo a resistere e a padroneggiare la paura:
“Non avere paura, stai dietro a me che sono più grosso e seguimi, apri le ali più che puoi… tendile verso il mare aperto e poi sottovento!”
E il piccolo, con un sussulto, lo seguì con fiducia.
Germano sbirciò l’ultimo arrivato con sospettosa sorpresa e diede un’occhiata al gruppo che stava seguendo con tenacia i suoi insegnamenti.
Solo il bulletto arrancava controvento, a casaccio, esibendosi in qualche maldestra operazione di volo e intralciando spesso gli altri, che gli volavano accanto. A Germano sembrava di rivedersi da piccolo, quando gli pareva di saper davvero far tutto, senza l’aiuto di nessuno: quanto tempo era passato e quanto aveva dovuto imparare, prima di diventare un maestro gabbiano!
Si affiancò al bulletto e lo incitò:
“Forza, tu devi essere padrone del vento, non lasciare che ti conduca dove vuole lui! Sei tu il padrone del volo, della tua vita…Tira fuori il meglio di te! Se voli con l’attenzione agli altri compagni, meriterai la loro stima e sarai felice, ricordalo! ”
Il bulletto lo guardò con gratitudine e un guizzo di simpatia lo percorse, poi tutti trovarono riparo sotto il pontile.
Si avvicinarono a Senza-zampa e gli tributarono gli onori di volo. Allora il bulletto gli si avvicinò, inarcando il corto collo:
“Sei abile e coraggioso, scusami per averti accolto male!”
Germano guardò verso il mare aperto. La burrasca infuriava ora più che mai, ma i suoi allievi erano al sicuro e per di più avevano imparato una gran quantità di nozioni. Si sentiva ancora più maestro, maestro di vita.
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Il primo giorno di scuola: che disperazione!

Questa mattina Giulia si sente come se toccasse a lei andare a scuola e non ad Elisa. Eppure le sembrava ieri il giorno in cui aveva tenuto in braccio quel fagottino e ora il pensiero di accompagnarla alla scuola dell’infanzia la spaventa, le sembra proprio di averla già persa.

Eccola qui, afferma entrando in camera, la mia piccola:

“Tesoro, chissà quanti amici troverai oggi con cui giocare…”.

Elisa la guarda e sorride, da giorni stanno parlando di questo momento ed Elisa ha capito che la scuola è un bel posto dove ci sono tanti giochi da fare e tanti bambini con cui divertirsi.

Si avviano tranquille verso la scuola, incrociano altre mamme con altri bambini e Elisa inizia piano piano a stringere di più la mano della mamma.

Giulia la guarda teneramente e si accorge che il volto di Elisa sta assumendo una strana espressione. Si direbbe che abbia un po’ paura.

Sono ormai davanti al cancello della scuola. Le altre mamme stanno già salutando i loro bambini e l’insegnante accoglie ognuno con un bel sorriso.

Si avvicina anche Giulia che per salutarla tenta di sciogliere la mano di Elisa dalla sua. Ma la piccola stringe più forte quasi a dirle non mi lasciare!

“Elisa, amore adesso tu resti con la maestra e più tardi la mamma …” .

Ma non finisce neanche di completare questa frase che Elisa scoppia in un urlo fragoroso, si avvingha alla mamma, si nasconde dietro le sue gambe, mette il viso dietro di lei, nella sua gonna e rimane incollata al suo corpo. Singhiozza disperata.

“Ma Elisa, che succede? Non c’è nulla da avere paura, qui ci sono tanti bambini, guarda..” cerca di rassicurare la maestra avvicinandosi a lei.

“Su amore, tutti gli altri bambini sono contenti, ti aspettano. La mamma torna dopo. Promesso!”.

L’insegnante fa segno alla mamma di lasciarle la bambina ma mentre Giulia cerca di staccarsi, Elisa si abbarbica ancora di più, rendendole difficile ogni movimento. Deve farlo con forza e per un po’ ci prova ma anche lei sembra in difficoltà. Vede la maestra che con il suo sguardo la incoraggia a lasciarla andare, ma intanto Elisa si dimena urla e singhiozza senza pausa.

Si sforza Giulia di mostrarsi decisa. In realtà sta malissimo. Si rende conto che lei pure non era pronta. Vorrebbe non essere lì, ma poi con forza si sgancia dalla piccola e la consegna alla maestra. Elisa urla come un pulcino disperato e abbandonato. Lei tenta di allontanarsi. Si rende conto che vorrebbe fuggire per non dover sentire quello strazio, ma poi all’insegnante:

“Guardi facciamo così, oggi torniamo a casa e magari ci prepariamo meglio per domani, non posso lasciarla qui in questo stato, non le pare?”

L’insegnante la guarda sorridendo e risponde:

“Signora, il primo giorno è così per tanti bambini ma un primo giorno ci vuole per staccarsi dalla mamma”.

“Si, capisco risponde Giulia ma forse lei è ancora piccola, sa potrebbe essere un trauma, non crede?”.

“Un trauma signora? Per chi per lei o per Elisa?”

 Giuliana Beghini Franchini & Giuseppe Maiolo

dal libro “Mamma che ridere” ed. Erickso

Da:www.officina benessere

 

Leggende di Pasqua

La leggenda delle campane di Pasqua

Riccardo e Silvia erano ospiti dalla nonna Maria per le vacanze di Pasqua.
Stavano ascoltando con attenzione la nonna che raccontava loro una storia.
“ Tutte le campane del mondo sono andate a Roma a trovare le loro sorelle che sono a San Pietro.”
“ Ma sei sicura, nonna?” fece Riccardo dubbioso.
“Chi le ha portate?” s’incuriosì Silvia.
“Sono andate da sole!”.
“Ma non è possibile!” esclamò Riccardo.
“Eppure da ieri non si sono più sentite suonare” disse la nonna. Riccardo l’interruppe:
“Lo so, tacciono perché è morto Gesù, ma quando Gesù risorgerà, suoneranno il Gloria”.
“Verissimo, rispose la nonna, ma si racconta che la notte del venerdì, quando la gente dorme, le campane di tutte le chiese, zitte zitte, volino a trovare le campane di Roma.
La notte del sabato santo ritornano alle loro chiese, volando assieme alle colombe pasquali, e nel loro passaggio depositano uova e dolci per i bambini”.
I due nipotini ascoltavano attenti, ma un po’ increduli.
“Che fanno le colombe?” chiese Silvia.
“Volano col rametto d’ulivo nel becco, in segno di pace”:
“Davvero le campane lasciano uova e dolci per i bambini?” domandò Riccardo, interessato.
“Si, ma soltanto per i bambini che credono a questa storia” concluse nonna Maria.
Poco dopo i due fratelli, rimasti soli, si misero a discutere.
“Ma le campane non possono volare, non hanno le ali! E poi, come fanno a portare dolci ai bambini se non hanno le mani? Sicuramente è una favola!” esclamò Riccardo.
“Perché la nonna la racconta come una storia vera?” chiese Silvia.
“Forse lei ci crederà” disse Riccardo.
“Allora aspetterà i dolci dalle campane e ci resterà male non trovandoli…” concluse Silvia.
I bambini pensarono al da farsi, poi ebbero un’idea e per tutto il pomeriggio del sabato furono occupatissimi:
Silvia in cucina, con la zia, e Riccardo a gironzolare attorno alla colombaia trascinandosi dietro la scala.
La nonna, si accorse di tutto quel traffico, ma fece finta di niente.
La domenica, alla fine del pranzo, arrivò la zia reggendo su un vassoio una grossa campana di pastafrolla, legata con nastrini colorati.
I due bambini si strizzarono l’occhio, aspettando con impazienza il resto della sorpresa.
Quando la campana fu sollevata, uscì una piccola colomba spaurita che lasciò cadere a terra un ramoscello d’ulivo.
Svelto, Riccardo lo raccolse e lo porse alla nonna:
“Tieni, nonna, è per te!”
La nonna sorrise commossa; non poteva parlare perché la voce le temeva un po’.

Fonte

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La leggenda del pettirosso

Mamma uccello, così come faceva ogni giorno, lasciò nel nido i suoi piccoli per andare a procurar loro il cibo. Mentre era in volo, vide sulla cima di un monte tre croci e tanta gente. Curiosa, si avvicinò e sulla croce centrale vide inchiodato un uomo con una corona di spine in testa: era Gesù. Fu presa da una grande tristezza nel vedere tanta cattiveria e cercò il modo di alleviare una sofferenza così grande. Si posò allora vicino alla testa di Gesù e col becco cercò di staccare la spina più grande. Ci riuscì, ma il suo petto si macchò di sangue. Tornò al nido, raccontò ai figli quello che aveva visto e, mentre li abbracciava, macchiò di rosso anche il loro petto. Da quel giorno in poi, quegli uccellini si chiamano ” pettirosso “, in ricordo del gesto generoso di quella mamma.

Fonte

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Il pulcino cosmico
L’anno scorso a Pasqua, in casa del professor Tibolla, dall’uovo di cioccolata sapete cosa saltò fuori? Sorpresa: un pulcino cosmico, simile in tutto ai pulcini terrestri, ma con un berretto da capitano in testa e un’antenna della televisione sul berretto. Il professore, la signora Luisa e i bambini fecero tutti insieme: – Oh, e dopo questo oh non trovarono più parole. Il pulcino si guardava intorno con aria malcontenta. – Come siete indietro su questo pianeta, – osservò, – qui è appena Pasqua; da noi, su Marte Ottavo, è già mercoledì. – Di questo mese? – domandò il professor Tibolla. – Ci mancherebbe! Mercoledì del mese venturo. Ma con gli anni siamo avanti di venticinque. Il pulcino cosmico fece quattro passi in su e in giù per sgranchirsi le gambe, e borbottava: – Che seccatura! Che brutta seccatura!…

Cos’è che la preoccupa? – domandò la signora Luisa. – Avete rotto l’uovo volante e io non potrò tornare su Marte Ottavo. – Ma noi l’uovo l’abbiamo comprato in pasticceria. – Voi non sapete niente. Questo uovo, in realtà, è una nave spaziale, travestita da uovo di Pasqua, e io sono il suo comandante, travestito da pulcino. – E l’equipaggio? – Sono io anche l’equipaggio. Ma ora sarò degradato. Mi faranno per lo meno colonnello. – Be’, colonnello è più che capitano. – Da voi, perché avete i gradi alla rovescia. Da noi il grado più alto è cittadino semplice. Ma lasciamo perdere. La mia missione è fallita. – Potremmo dirle che ci dispiace, ma non sappiamo di che missione si trattava. – Ah, non lo so nemmeno io. Io dovevo soltanto aspettare in quella vetrina fin che il nostro agente segreto si fosse fatto vivo. – Interessante, – disse il professore, – avete anche degli agenti segreti sulla Terra. E se andassimo a raccontarlo alla polizia? – Ma sì, andate in giro a parlare di un pulcino cosmico, e vi farete ridere dietro. – Giusto anche questo. Allora, giacché siamo tra noi, ci dica qualcosa di più su quegli agenti segreti. – Essi sono incaricati di individuare i terrestri che sbarcheranno su Marte Ottavo tra venticinque anni. – E’ piuttosto buffo. Noi, per adesso, non sappiamo nemmeno dove si trovi Marte Ottavo. – Lei dimentica, caro professore, che. lassù siamo avanti col tempo di venticinque anni. Per esempio sappiamo già che il capitano dell’astronave terrestre che giungerà su Marte Ottavo si chiamerà Gino. – Toh, – disse il figlio maggiore del professor Tibolla, – proprio come me. – Pura coincidenza, – sentenziò il cosmopulcino. – Si chiamerà Gino e avrà trentatre anni. Dunque, in questo momento, sulla Terra, ha esattamente otto anni. – Guarda guarda, – disse Gino, – proprio la mia età. – Non mi interrompere continuamente, – esclamò con severità il comandante dell’uovo spaziale. – Come stavo spiegandovi, noi dobbiamo trovare questo Gino e gli altri membri dell’equipaggio futuro, per sorvegliarli, senza che se ne accorgano, e per educarli come si deve. – Cosa, cosa? – fece il professore. – Forse noi non li educhiamo bene i nostri bambini? – Mica tanto. Primo, non li abituate all’idea che dovranno viaggiare tra le stelle; secondo, non insegnate loro che sono cittadini dell’universo; terzo, non insegnate loro che la parola nemico, fuori della Terra, non esiste; quarto… – Scusi comandante, – lo interruppe la signora Luisa, – come si chiama di cognome quel vostro Gino? – Prego, vostro, non nostro. Si chiama Tibolla. Gino Tibolla. – Ma sono io! – saltò su il figlio del professore. Urrà, – Urrà che cosa? – esclamò la signora Luisa. – Non crederai che tuo padre e io ti permetteremo… – Ma il pulcino cosmico era già volato in braccio a Gino. – Urrà! Missione compiuta! Tra venticinque anni potrò tornare a casa anch’io. – E l’uovo? -domandò con un sospiro la sorellina di Gino. – Ma lo mangiamo subito, naturalmente. E così fu fatto.
G.Rodari
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La leggenda della pastiera

Un’antica leggenda racconta che sulla spiaggia le mogli dei pescatori lasciarono nella notte delle ceste con ricotta, frutta candita, grano e uova e fiori d’arancio come offerte per il “Mare”, affinché questo lasciasse tornare i loro mariti sani e salvi a terra e con una rete colma di pesci.
Al mattino ritornate in spiaggia per accogliere i loro consorti notarono che durante la notte i flutti avevano mischiato gli ingredienti ed insieme agli uomini di ritorno, nelle loro ceste c’era una torta: la Pastiera.
Un’altra leggenda narra invece che la pastiera accompagnasse le antiche feste pagane per il ritorno della primavera; difatti gli ingredienti conservano una forte valenza simbolica.
Ecco allora la ricotta, addolcita dallo zucchero: trasfigurazione delle offerte votive di latte e miele tipiche delle prime cerimonie cristiane.
Il grano: augurio di ricchezza e fecondità.
Le uova: simbolo di vita nascente.
L’acqua di fiori d’arancio: presagio di primavera.
La versione odierna, probabilmente fu messa a punto in un antico monastero napoletano rimasto ignoto: anche questa, tuttavia, è una supposizione.
Comunque sia andata, ancor oggi sulla tavola pasquale dei napoletani questo dolce non può mancare.
Fonte

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La storia del Leprotto di Pasqua

C’erano una volta un papà leprotto ed una mamma leprotto, che avevano sette leprottini e non sapevano quale sarebbe diventato il vero leprotto di Pasqua. Allora mamma leprotto prese un cestino con sette uova e papà leprotto chiamò i leprottini. Poi disse al più grande: “Prendi un uovo dal cestino e portalo nel giardino della casa, dove ci sono molti bambini.”
Il leprotto più grande prese l’uovo d’oro, corse nel bosco, attraversò il ruscello, uscì dal bosco, corse per il prato e giunse al giardino della casa. Qui voleva saltare oltre il cancello, ma fece un balzo così grande e con tanta forza che l’uovo cadde e si ruppe.
Questo non era il vero leprotto di Pasqua.
Ora toccava al secondo. Egli prese l’uovo d’argento, corse via nel bosco, attraversò il ruscello, uscì dal bosco, corse per il prato; allora la gazza gridò “Dallo a me l’uovo, dallo a me l’uovo, ti regalerò una moneta d’argento!” E prima che il leprotto se ne accorgesse la gazza aveva già portato l’uovo d’argento nel suo nido.
Neanche questo era il vero leprotto di Pasqua.
Ora toccava al terzo. Questi prese l’uovo di cioccolato. Corse nel bosco, attraversò il ruscello, uscì dal bosco e incontrò uno scoiattolo che scendeva, saltellando, da un alto abete. Lo scoiattolo spalancò gli occhi e chiese: “Ma è buono l’uovo?”
“Non lo so,” rispose il leprotto, “lo voglio portare ai bambini.”
“Lasciami assaggiare un po’!”
Lo scoiattolo cominciò a leccare e poiché gli piaceva tanto, non finiva mai e leccò e mangiucchiò pure il leprotto, fino a che dell’uovo non rimase più nulla; quando il terzo leprotto tornò a casa, mamma leprotto lo tirò per la barba ancora piena di cioccolato e disse: “Neanche tu sei il vero leprotto di Pasqua.”
Ora toccava al quarto.
Il leprottino prese l’uovo chiazzato. Con quest’uovo corse nel bosco e arrivò al ruscello. Saltò sul ramo d’albero posto di traverso, ma nel mezzo di fermò. Guardò giù e si vide nel ruscello come in uno specchio. E mentre così si guardava, l’uovo cadde nell’acqua con gran fragore.
Neanche questo era il vero leprotto di Pasqua.
Ora toccava al quinto. Il quinto prese l’uovo giallo. Corse nel bosco e, ancor prima di giungere al ruscello, incontrò la volpe, che disse: “Su, viene con me nella mia tana a mostrare ai miei piccoli questo bell’uovo!”
I piccoli volpacchiotti si misero a giocare con l’uovo, finché questo urtò contro un sasso e si ruppe.
Il leprotto corse svelto svelto a casa, con le orecchie basse.
Neanche lui era il vero leprotto di Pasqua.
Ora toccava al sesto. Il sesto leprotto prese l’uovo rosso. Con l’uovo rosso corse nel bosco. Incontrò per via un altro leprotto. Appoggiò il suo uovo sul sentiero e presero ad azzuffarsi.
Si diedero grandi zampate, e alla fine l’altro se la diede a gambe.
Ma quando il leprottino cercò il suo uovo, era già bell’e calpestato, ridotto in mille pezzi.
Neanche lui era il vero leprotto di Pasqua.
Ora toccava al settimo. Il leprotto più giovane ed anche il più piccolo. Egli prese l’uovo blu. Con l’uovo blu corse nel bosco.
Per via, incontrò un altro leprotto, ma lo lasciò passare e continuò la sua corsa. Venne la volpe. Il nostro leprotto fece un paio di salti in qua e in là e continuò a correre, finché giunse al ruscello.
Con lievi salti lo attraversò, passando sul tronco dell’albero.
Venne lo scoiattolo, ma egli continuò a correre e giunse al prato.
Quando la gazza strillò, egli disse soltanto: “Non mi posso fermare, non mi posso fermare!”
Finalmente giunse al giardino della casa. Il cancello era chiuso. Allora fece un salto, né troppo grande né troppo piccolo, e depose l’uovo nel nido che i bambini avevano preparato.
Questo era il vero leprotto di Pasqua!

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La leggenda della Fata Pasqualina
Esistono le fate, eccome. Noi esseri umani non le possiamo vedere, ma una volta abitavano il mondo insieme a noi. Poi improvvisamente sono fuggite ed ora abitano nei paesi dei TRA.
Come, non sapete che paesi sono? Ma sono i paesi che stanno tra tutti i TRA. Un esempio: tra il sogno e la realtà abitano le fate della fantasia; tra il dormi-veglia abitano le fate del mattino, tra il bene ed il male abitano le fate della giustizia e via di seguito.

Le fate abitavano sulla terra insieme a noi, ed a capo di tutte vi era la fata più bella, più dolce, più giusta che l’universo intero avesse mai creato. Figlia della stella più luminosa era giunta sulla terra per portare amore e pace. Lei aveva creato i rossi tramonti e le splendenti albe, lei era padrona degli eterni ghiacciai, e del blu di tutti gli oceani.
Con lei l’amore era sovrano, il nostro pianeta conobbe l’epoca più bella di tutti i tempi.
Le fate vivevano insieme a noi aiutandoci ogni qual volta avevamo bisogno.
La terra era un paradiso.
Ma, come accade in tutte le leggende anche in questa esiste un ma, la strega dell’invidia viveva di rancore verso le fate. Lei voleva essere sovrana degli uomini, lei voleva distruggere l’amore, lei odiava gli uomini che amavano le fate. Così pensò che se fosse riuscita a distruggere le fate gli uomini avrebbero adorato solo lei. Quindi se avesse distrutto Fata Pasqualina lei avrebbe vinto.
Vagò nelle notti senza luna nascondendosi a tutti e raccolse dai sogni degli umani i loro incubi peggiori, creò un sogno talmente pauroso che pure lei rischiò di esserne distrutta. Con questo sogno racchiuso in un ampolla stregata iniziò la ricerca di fata Pasqualina, e quando l’avesse trovata, l’avrebbe obbligata a respirare il contenuto dell’ampolla: così Pasqualina sarebbe morta.

Ma le fate che tutto percepiscono vennero a conoscenza del piano della malvagia Invidia e avvertirono la loro regina. Pasqualina non riusciva a capire perché Invidia l’odiasse tanto e cercò di sfuggirle.
Non conosceva però la tenacia che animava quella malvagia strega ed un giorno si trovò quasi prigioniera, Invidia le era alle spalle, l’aveva ormai raggiunta e si apprestava ad aprire la tremenda ampolla per farle respirare il contenuto. La malvagia ormai era sicura, aveva vinto!
Ma, esistono sempre i ma nelle leggende, passò di lì una piccola gallinella che vedendo la disperazione di Fata Pasqualina le disse:-Presto entra dentro il mio uovo.- e subito Pasqualina si dissolse ed entrò dentro l’uovo della buona gallinella. Invidia cercò in tutti i modi di trovare un apertura in quello strano oggetto che non aveva mai visto. Cercò di romperlo, ma quell’uovo era magico, sarebbe riuscito a romperlo solo chi era animato da buone intenzioni verso le fate.
Poi, improvvisamente, l’uovo scomparve e nessuno sa dove sia. Le fate, prive della loro regina, decisero di ritirarsi nei paesi dei TRA, e noi uomini ora siamo soli sulla terra.
Fu da quel giorno che una volta all’anno tutti noi acquistiamo le uova, da allora si chiamano di Pasqua, e le rompiamo sperando che dentro vi sia Pasqualina, ma nessuno ancora l’ha trovata. Vi si trovano solo regali che le fate dei paesi dei TRA ci fanno trovare per ricordarci che loro ci amano ancora.
Aspettano solamente che da un uovo fatato si manifesti la loro REGINA.
La terra potrà così tornare ad essere il regno delle fate, e noi felici per l’eternità.

Fonte

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La leggenda della passiflora “il fiore della passione”

Tanto tanto tempo fa, la primavera fece balzare dalle tenebre verso la luce tutte le piante della Terra, e tutte fiorirono come per incanto.

Solo una pianta non udì il richiamo della primavera, e quando finalmente riuscì a rompere la dura zolla di terreno, la primavera era già lontana…

– Fa’ che anch’io fiorisca, o Signore! – pregò la piantina.

– Tu pure fiorirai –  rispose il Signore.

– Quando? –  chiese con ansia la piccola pianta senza nome.

– Un giorno…  – e l’occhio di Dio si velò di tristezza.

Era ormai passato molto tempo, la primavera anche quell’anno era venuta e al suo tocco le piante del Golgota avevano aperto i loro fiori.

Tutte le piante, fuorché la piantina senza nome. Il vento portò l’eco di urla sguaiate, di gemiti, di pianti: un uomo avanzava fra la folla urlante, curvo sotto la croce, aveva il volto sfigurato dal dolore e dal sangue…

– Vorrei piangere anch’io come piangono gli uomini – pensò la piantina con un fremito.

Gesù in quel momento le passava accanto, e una lacrima mista a sangue cadde sulla piantina pietosa…

Subito sbocciò un fiore bizzarro, che portava nella corolla gli strumenti della passione: una corona, un martello, dei chiodi… era la passiflora, il fiore della passione.

www.favoleefantasia


Altri racconti e leggende qui

La leggenda di San Valentino

Si racconta che bella ragazza, di nome Serapia, abitava in una piazza di Terni.
Passando spesso di lì un giovane centurione, di nome Sabino, la osservò più volte e se ne innamorò. Solo che Sabino era un centurione romano pagano e Serapia era Cristiana e così il ragazzo ricevette un secco rifiuto da parte della famiglia di lei, quando andò a chiedere la sua mano.
Allora, la giovane ragazza gli suggerì di andare dal loro Vescovo Valentino per ricevere il sacramento del battesimo e diventare Cristiano.
Sabino per amore di Serapia si fece battezzare.
Ma, quando questo ostacolo era stato sormontato, ne giunse uno molto più grande: si scoprì che Serapia era affetta da una forma di tisi avanzatissima. La notizia portò alla disperazione sia i genitori che il giovane legionario romano.
L’unica cosa che rimase da fare era quella di far venire il Santo Vescovo presso il letto della moribonda. Sabino chiese di essere unito in sposo alla sua amata. Il giovane centurione supplicò il Santo di non separarlo da lei perché altrimenti la sua vita sarebbe stata un insopportabile e un lungo martirio.
Il Vescovo Valentino alzò le mani e, mentre li benediceva, un sonno beatificante avvolse quei due cuori per l’eternità.
Da allora San Valentino è considerato il santo dell’amore e il 14 Febbraio le coppie si scambiano regali sigillando una promessa d’amore.
A conferma di questa leggenda, il ritrovamento di una tomba con due corpi, stretti l’uno all’altro, attribuita ai due sfortunati amanti.
La tomba venne scoperta a Terni nell’ottobre 1909, nel corso di scavi governativi.

Fonte

Frutta invernale mascherata

La mela e l’ arancia

L’arancia  saporita

ha indossato un vestitino

un cappello da pagliaccio

per divertire anche il ghiaccio

un nasone tondo tondo

per far ridere tutto il mondo.

La mela tanto carina

vuole  assomigliare ad Arlecchino

e ricordare a tutti i bambini

che anche l’ inverno porta allegria!

 

 

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LA   MELA   ARLECCHINO

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CAPODANNO:leggende , racconti e fiabe

L’aeroplano di Capodanno

Comandante, un aeroplano sconosciuto chiede di atterrare.
Un aeroplano sconosciuto? E come è arrivato fin qui? Non so, comandante.
Noi non abbiamo avuto alcuna comunicazione.
Dice che sta per finire il carburante e che atterrerà anche se non glielo permettiamo.
Uno strano personaggio, comandante.
Strano?
Un po’ pazzo, direi. Un momento fa lo sentivo ridacchiare nella radio: « Tanto, nessuno mi può fermare… ».
Ad ogni modo facciamolo scendere, prima che combini qualche guaio.
L’apparecchio atterrò sul piccolo campo d’aviazione, alla periferia della capitale, alle ventitré e ventisette precise. Mancavano trentatré minuti alla mezzanotte.
Già, ma non a una mezzanotte qualunque, bensi alla mezzanotte più importante dell’anno.
Era la sera del 31 dicembre e in tutto il mondo milioni di persone vegliavano in attesa dell’anno nuovo.
L’aviatore sconosciuto balzò a terra agilmente e subito cominciò a dare ordini: Scaricate i miei bauli. Sono dodici, fate attenzione.
Mi occorreranno tre tassi per trasportarli.
Qualcuno può fare una telefonata per me?
Forse si e forse no – rispose per tutti il comandante del campo. – Prima si dovranno chiarire alcune cosette, non le pare?
Non ne vedo la necessità – disse l’aviatore, sorridendo. lo però la vedo – ribatté il comandante.
La prego, intanto, di mostrarmi i suoi documenti personali e le carte di bordo.
Mi dispiace ma non farò niente del genere.
Il suo tono era cosi deciso che il comandante fu li li per perdere la calma.
Come vuole – disse poi, – ma intanto abbia la cortesia di seguirmi.
L’aviatore si inchinò. Al comandante parve che l’inchino fosse piuttosto esagerato. «Che voglia prendermi in giro? » pensò. «Ad ogni buon conto, dal mio aeroporto non uscirà con quelle arie da padrone
del vapor ».
Guardi – diceva intanto il misterioso viaggiatore – che sono atteso. Molto, molto atteso.
Per la festa di mezzanotte, immagino?
Appunto, comandante carissimo.
lo invece, come vede, sono di servizio e passerò la notte di Capodanno all’aeroporto. Se lei insisterà
a non volermi mostrare i documenti, mi terra compagnia.
Lo sconosciuto (erano intanto entrati insieme in una saletta del campo) si accomodò in una poltrona,
si accese la pipa e rivolgeva intorno occhiate curiose e divertite.
I miei, documenti? Ma lei ne è già in possesso, comandante.
Davvero? Me li ha infilati in tasca con un giochetto di prestigio?
E adesso mi cavera un uovo dal naso e un orologio da un orecchio?
Per tutta risposta lo sconosciuto indicò il calendario dell’anno nuovo, che pendeva dalla parete dietro una scrivania, aperto alla prima pagina.
Ecco i miei documenti, prego. Sono il Tempo.
Nei miei dodici bauli ci sono i dodici mesi che dovrebbero avere inizio tra… vediamo un po’… tra venti nove minuti precisi.
Il comandante non si scompose.
Se lei è il Tempo – disse – io sono un aviogetto. Vedo che le va di scherzare. Benissimo, mi terrà allegro.
Le dispiace se accendo il televisore?
Non vorrei perdermi l’annuncio della mezzanotte.
Accenda, accenda. Ma non ci sarà nessun annuncio, fin che lei mi trattiene.
Sul teleschermo era in corso uno spettacolo di canzoni e arte varia.
Di quando in quando una graziosa presentatrice consultava un grande orologio appeso dietro l’orchestra, proprio sulla testa del batterista, e annunciava: – Mancano venticinque minuti all’anno nuovo… Mancano ventidue minuti..
L’aviatore sconosciuto pareva divertirsi un mondo allo spettacolo. Canterellava, batteva il piede a
tempo con l’orchestra, rideva di cuore alle battute dei comici…
Un minuto a mezzanotte – sorrise il comandante, – mi dispiace di non poterle offrire lo spumante.
In servizio io non bevo mai.
Grazie, ma lo spumante non serve.
Da questo momento il tempo cesserà di scorrere. Dia un’occhiata al suo orologio.
Il comandante obbedi meccanicamente.
Guardò il quadrante, si accostò il polso all’orecchio. « Strano », pensò, « l’orologio cammina, ma la sfera dei secondi si è guastata e non gira piu ».
Egli cominciò mentalmente a contare i secondi.
Ne contò sessanta, poi tornò a guardare l’orologio: le sfere erano sempre ferme sulla mezzanotte meno
un minuto. Anche sul grande orologio del teleschermo le sfere erano immobili.
L’annunciatrice, con un sorriso un po’ imbarazzato, stava dicendo: Sembra che ci sia un piccolo guasto…
Musicisti, cantanti, comici, spettatori, come per un segnale, cominciarono a scrutare i loro orologi, a
scuoterli, ad accostarseli all’orecchio, con aria sorpresa. In breve tutti si convinsero che le sfere non si muovevano piu.
Il tempo si è fermato – gridò qualcuno, scherzando. – Forse ha bevuto troppo spumante e si è addormentato prima della mezzanotte.
Il comandante dell’aeroporto gettò uno sguardo allarmato sullo strano forestiero, il quale, dal canto suo, gli sorrise educatamente.
Ha visto? Colpa sua. Come sarebbe… colpa mia… – balbettò il comandante.
Non è ancora convinto che io sia il Tempo?
Guardi quella rosa (ce n’era una, sulla scrivania, freschissima: al comandante piaceva tenere qualche fiore in ufficio).
Vuoi vedere che cosa le succede, se la tocco?
Lo sconosciuto si avvicinò alla scrivania, soffiò delicatamente sulla rosa: i petali caddero tutti insieme, avvizziti, secchi, si sbriciolarono, non furono più che un mucchietto di polvere…
Il comandante balzò in piedi e si attaccò al telefono…
Pochi minuti dopo la telefonata del comandante al ministro, gia tutti sapevano, in America come a Singapore, in Tanzania come a Novosibirsk, che il Tempo era stato fermato in un piccolo aeroporto,
perché privo di documenti. Milioni di persone che aspettavano la mezzanotte per stappare lo spumante
ruppero il collo alle bottiglie, per far prima, e si scambiarono brindisi entusiastici.
Cortei festosi percorrevano le strade di Milano, Parigi, Ginevra, Varsavia, Londra, Eccetera: scrivendo Eccetera con la maiuscola vogliamo indicare tutte le cltta che non ci sarebbe possibile nominare una per una. Evviva! – gridava la gente, in tutte le lingue.
Il tempo si è fermato! Non invecchieremo più!
Non moriremo più!
Il comandante dell’aeroporto passava il tempo al telefono. Lo chiamavano da ogni parte del mondo per dirgli:
Lo tenga stretto!
Gli metta le manette!
Gli tiri il collo!
Gli metta un sonnifero nel bicchiere!
Macché sonnifero: veleno per i topi, ci deve mettere!
Il ministro aveva avvertito i suoi colleghi. Una riunione del Consiglio dei ministri era in corso.
L’ordine del giorno: «Misure da prendere. Bisogna tramutare il fermo del Tempo in arresto o liberarlo? ».
Il ministro dell’Interno tuonava: – Liberarlo?
Mai non sia! Se cominciamo a lasciar andare in giro la gente senza documenti, siamo fritti in padella.
Questo signore ci deve dire nome, cognome, paternità, luogo di nascita, domicilio, residenza, cittadinanza, nazionalità, numero del passaporto, numero delle scarpe, numero del cappello; ci deve mostrare il certificato di vaccinazione, quello di buona condotta, il diploma di quinta elementare, la ricevuta delle tasse.
E poi, ha ben dodici bauli: ha pagato dogana?
Si rifiuta di aprirli: e se ci avesse dentro delle bombe?
Il ministro aveva settantadue anni: capirete che aveva ogni interesse a tener fermo l’orologio…
I ministri decisero di chiedere il parere delle Nazioni Unite.
Alle Nazioni Unite, a quell’ora, c’era soltanto il portiere: tutti i delegati erano in giro a far festa.
Quanto ci vorrà per riunire l’assemblea?
Una quindicina di giorni. Però, se il tempo non passa, non passano neanche i quindici giorni e l’assemblea non si può riunire.
Anche questa notizia fece il giro del mondo, contribuendo ad accrescere l’allegria generale.
Dopo un po’…
Ecco, veramente questa frase non si potrebbe scrivere: se il tempo era fermo, la parola « dopo » non aveva più senso.
Diciamo che un bambino, svegliato dal fracasso e messo al corrente dell’accaduto, sommò due più due e cominciò a protestare: – Cosa? Sarà sempre adesso? Allora io non diventerò più grande?
Devo prendere per tutta la vita gli scapaccioni del babbo?
Devo continuare a risolvere problemi di pizzicagnoli che comprano l’olio e si fanno calcolare dai bambini delle scuole la spesa e il ricavo?
Ah, no, grazie tante! lo non accetto.
Anche lui si attaccò al telefono, per dare l’allarme ai suoi amici.
I bambini non vollero sentir parole.
Si infilarono il cappotto sul pigiama e scesero anche loro per le strade a fare il corteo.
Ma le loro grida e i loro cartelli erano ben diversi da quelli degli altri cortei:
Liberate il Tempo! – dicevano.
Non vogliamo restare sempre dei marmocchi!
Vogliamo crescere! .
lo voglio diventare ingegnere!
lo voglio che venga l’estate per andare al mare!
Incoscienti – commentava un passante, in un momento storico come questo pensano ai bagni di mare.
Però – rifletté un altro passante, – su un punto almeno hanno ragione: se il tempo non passa più, sarà sempre il trentun dicembre…
Sarà sempre inverno…
Sarà sempre mezzanotte meno un minuto!
Non vedremo più spuntare il sole!
Mio marito è in viaggio – sospirò una signora, – come farà a torna e a casa, se il tempo non passa?
Un malato nel suo letto si lamentava: – Ahi, ahi! doveva fermar  il tempo proprio mentre avevo il mal di testa?..
Un carcerato, aggrappato alle sbarre della sua prigione, si domandava accorato: – Non riavrò mai più la mia liberta?
I contadini borbottavano: – Qua, col raccolto, si mette male… Se non passa il tempo, se non torna la primavera, gelerà tutto… Non avremo niente da mangiare.
Insomma, il comandante dell’aeroporto cominciò a ricevere telefonate allarmate:
Be’, lo lasciate andare, si o no? lo aspetto un vaglia, me lo manda lei, se il tempo non può passare?
Comandante, per favore, liberi il Tempo: abbiamo un rubinetto che perde, e se non viene domattina non possiamo chiamare l’idraulico.
Il Tempo, allungato nella sua poltrona, continuava a fumare la sua pipa, sorridendo.
Cosa devo fare? – protestava il comandante.
Uno la vuole bianca, l’altro la vuole nera… lo me ne lavo le mani. lo la lascio andar via…
Bravo, grazie.
Ma cosi… senza ordini superiori… Capisce che ci rimetto il posto?
E allora mi tenga qui. lo ci sto benissimo.
Un’altra telefonata:
È scoppiato un incendio! Se non passa il tempo non arrivano i pompieri! Brucerà tutto!
Bruceremo tutti! Abbiamo in casa vecchi e bambini… Non può far niente, comandante?
Il comandante, a questo punto, picchiò un pugno sulla scrivania.
Bene, succeda quel che vuoI succedere. Mi prenderò questa responsabilità. Se ne vada, lei è libero.
Il Tempo balzò in piedi: – Permetta che le stringa la mano, comandante.
Conoscerla è stato un vero piacere.
Il comandante gli aperse la porta: -Se ne vada, presto, prima che io cambi idea!
Il Tempo usci dalla porta.
Le sfere degli orologi ricominciarono a muoversi.
Sessanta secondi più tardi scoccò la mezzanotte, scoppiarono i fuochi artificiali.
Il nuovo anno era cominciato.

di Gianni Rodari

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La leggenda di Capodanno

Nelle valli del Comasco usavano, una volta, la notte di capodanno, appendere alla porta dei casolari un bastone, un sacco ed un tozzo di pane.
Eccone il perché.
Molti anni fa, al tempo dei tempi, e precisamente la notte di San Silvestro, padron Tobia stava contando il proprio gruzzolo in un angolo della sua capanna, quando fu battuto alla porta.
L’avaro coprì con un drappo i suoi ducati ed andò ad aprire Una folata d’aria gelata ,
di neve lo colpì in viso.
Era ung notte d’Inverno.
Sotto la tormenta, fra il nevischio, egli vide un pover’uomo che si reggeva a stento e che non aveva neppure un cencio di mantello.
Padron Tobia fu molto contrariato da quella vista e domandò bruscamente allo sconosciuto:
Che fate qui? Che volete? Chi siete?
Sono un povero viandante sperduto e sorpreso dalla bufera, e vi chiedo in carità di poter dormire nel vostro fienile.
Io non lascio dormire nessuno nel mio fienile. Andate, andate: non posso far nulla per voi!
Datem,i almeno un tozzo di pane!
Non ho pane; andate!
Datemi un sacco, un cencio da mettermi al collo chè muoio di freddo!
Non ho sacchi e non ho cenci!
Almeno un bastone per appoggiarmi…
Non ho bastoni!
E chiuso l’uscio in faccia all’infelice, ritornò al suo gruzzolo; ma sotto il drappo, invece di ducati; trovò un pugno di foglie secche.
Padron Tobia impazzì e terminò i suoi giorni vagando perle vallate natie e raccontando a tutti la sua disgrazia; ma, d’allora in poi, la notte di capodanno tutti appesero alla porta del proprio casolare un bastone, un sacco, un tozzo di pane.

di Otto Cima

Fonte

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Anno Vecchio e Anno Nuovo

E’ la notte di San Silvestro e un vecchietto con la testa canuta ed il passo stanco sembra impaziente.

Guarda continuamente l’orologio e borbotta: – Quando arriva? Speriamo che non mi faccia aspettare troppo, perché qui fa freddo e… poi io sono tanto stanco!

Chi è questo vecchietto è facile immaginare. E’ l’ Anno Vecchio che aspetta l’arrivo del Nuovo Anno. Egli è pronto a passargli le consegne, desideroso di andare a riposare. Visto che il giovane Anno non si vede ancora egli si siede su una panchina di un parco, si stringe di più nel cappotto per ripararsi dal freddo pungente e cerca di passare il tempo, ricordando tutto ciò che ha fatto in questi ultimi dodici mesi, quando lui è stato il padrone del mondo. Deve convenire che egli ha fatto tante cose buone per gli uomini. Li ha resi felici e spensierati durante la festa di Carnevale e le altre festività.

E’ pure vero che tante volte non è stato capace di risolvere determinate situazioni, rendendo scontenti gli uomini, ma, in verità ,la colpa non è stata solo sua. Quando la pioggia è scesa giù dal cielo a catenelle per più giorni e ha provocato frane, distruggendo alcune case e lasciando qualcuno senza un tetto sulla testa tutti hanno ritenuto lui colpevole e responsabile. La stessa cosa è successa quando non è riuscito a calmare gli animi di alcuni uomini e sono scoppiate guerre in varie parti del mondo. Egli pur desiderando di scacciare la fame dal mondo non c’è riuscito completamente,perché ancora oggi ci sono tanti bambini che, non avendo nulla da mangiare, muoiono di fame.

L’Anno vecchio voleva tanto prendere i malviventi e i ladri per rendere il mondo pulito e bello, ma da solo è stata un’impresa impossibile. Egli è convinto che in molte situazioni se non c’è la collaborazione degli uomini nulla si può ottenere. Gli uomini sono bravissimi a scaricare le loro colpe sugli altri, specialmente su questo povero vecchio. Il poveretto ha cercato sempre di fare del suo meglio, ma per gli altri non è stato mai abbastanza. E’ stato più volte deriso, condannato, incolpato anche di cose non fatte. I suoi occhi spesso si sono velati di lacrime per l’ingratitudine umana. Molti gli hanno rivolto lodi, altri lo hanno maledetto. Ad un tratto,vedendo un’ombra avvicinarsi, interrompe il corso dei suoi pensieri e dei suoi ricordi ed esclama.

 

-Eccolo eccolo, Finalmente sta arrivando. Rivolgendosi al Nuovo venuto continua:

-Ti sei fatto attendere e…e…e…mio bel giovane.

Quello risponde:- Nonnino non avere fretta! Tu vuoi bruciare le tappe. Io non potevo certamente venire prima del tempo. I tuoi giorni dovevano terminare oggi a mezzanotte e io sono arrivato, come vedi, puntuale. Guarda la gente come è felice per il mio arrivo. Tutti brindano,facendo tintinnare i loro calici.

Sottolinea il vecchietto:- Brindano, perché sperano che tu sia migliore di me. Che porti loro ogni bene e solo cose belle. Ti accorgerai presto, mio caro, come gli uomini sono bravi a voltarti le spalle se per una volta non esaudirai i loro desideri. Ti auguro con tutto il cuore: buona fortuna.

Addio, figliolo.

L’Anno Vecchio si alza dalla panchina e si avvia lentamente con un po’ di emozione e nostalgia.

Sente ancora gli ultimi bagordi che vanno man mano scemando, fino a scomparire.

L’Anno Nuovo,invece, è pimpante, pieno di vitalità e vorrebbe mettersi subito alla opera per risolvere tutte quelle questioni che l’ Anno Vecchio ha lasciato in sospeso. Egli si propone di portare a tutti gli uomini pace, felicità e lavoro. Chissà se ci riuscirà.

Quando il vecchietto è ormai lontano da lui, gli urla:- Nonnino, cosa farai da oggi in poi?

L’Anno Vecchio risponde:- Vado finalmente in pensione, a riposare.

Ogni anno a San Silvestro si ripete la stessa scena, l’Anno Vecchio se ne va con un gran magone e si fa avanti l’Anno Nuovo con nuove e allettanti promesse e ognuno in cuor suo spera che sia la volta buona perché tutto si avveri.

Da: nonnainfabula

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La fiaba di Santa Lucia

Quando S. Lucia salì in cielo, tutti si meravigliarono nel veder arrivare una persona così giovane. Ben presto la Santa con i suoi modi dolci ed i suoi occhi pieni di luce conquistò tutti e, persino lo scontroso S. Pietro si prese cura di lei come fanno i nonni con i nipoti.Così trascorrevano i giorni allietati di serenità e pace e Lucia si godeva questa sublime situazione, riflettendo su quanto fossero lontane da lei le sofferenze e la cattiveria che regnavano sulla Terra. S. Pietro, che nonostante la sua lunga barba bianca, aveva ancora una vista acutissima, si accorse che un sottile velo di tristezza si era posato sugli occhi celestiali di Lucia e, così, decise di chiamarla a sé per parlarle. S. Lucia gli disse che avrebbe tanto desiderato anche per un solo minuto poter rivedere il suo paese in Sicilia e i suoi poveri.
S. Pietro, fu talmente colpito da quella richiesta che passò giorni e notti fra le morbide nuvole del Paradiso a pensare come potesse esaudire il suo desiderio, finché prese coraggio e decise di parlarne col Padre Eterno. S’incamminò un po’ timoroso e quando fu da Lui espose la richiesta tenendo sempre china la testa in segno di profondo rispetto. S. Pietro restò immobile ad aspettare una risposta poi, inaspettatamente, udì uno strano e metallico tintinnio; socchiuse gli occhi e vide che il buon Dio teneva in mano una piccola chiave d’oro. “Tieni Pietro, questa é la chiave che apre una finestrella che dà sul mondo, prendila e portala a S. Lucia” disse il Signore. S. Pietro fu così meravigliato che afferrò la chiave e corse come un ragazzino a cercare la sua Santa bambina, felice di aver esaudito il suo desiderio. Immediatamente gli occhi della santa s’illuminarono e i due salirono su di una nuvoletta che li portò alla magica finestrella. Quando arrivarono, Lucia con la mano tremante, infilò la chiave nella fessura e, come d’incanto, le apparve laggiù il mondo.La giovane fu soddisfatta di quella visione e, per lungo tempo,non desiderò più aprire gli occhi sulle cose terrene. Una notte però, il suo sonno venne turbato da lontani lamenti e pianti. Lucia, preoccupata decise di prendere la chiave per vedere cosa stesse accadendo. Fu in quel momento che la santa vide tutte le cose ingiuste, la vita dissoluta, il male, ma soprattutto vide bambini che soffrivano e piangevano. Rammaricata richiuse piano la finestrella e, una profonda tristezza, calò sui suoi dolcissimi occhi celesti.
Lucia sperava di vedere presto migliorare le cose sulla Terra; la sofferenza dei bambini l’angosciava tantissimo, non sopportando che proprio loro, così immacolati ed indifesi, potessero subire angherie fisiche o morali da parte degli adulti. S.Pietro nel frattempo la osservava in silenzio e, notava man mano che passavano le giornate, il mutamento d’umore di Lucia.Nemmeno al Padre Eterno passò inosservata la cosa e decise di chiamare S. Pietro. “Caro Pietro,” disse il Signore “Io so quello che turba S. Lucia. Ella soffre per i patimenti dei bambini e le privazioni alle quali sono sottoposti.”disse ed aggiunse: ” Ho deciso, daremo l’incarico proprio a Lei di portare una volta all’anno un po’ di allegria sulla Terra e, tu Pietro, le dirai che il Signore l’autorizza a scendere il giorno del suo martirio cioè il 13 dicembre per portare doni a tutti i bambini della Terra. Ora vai, corri, voglio che torni la luce in quei santi occhi.” S. Pietro fu talmente felice, che, abbracciò il Signore e poi si affrettò a cercare Lucia per darle la bellissima notizia. Subito la santa rimase incredula, ma poi si convinse riempiendosi il cuore di letizia. Ormai mancavano pochi giorni al 13 dicembre, ma Lucia capì ben presto che non disponeva di nulla ed, in Paradiso, non esistevano né pasticcerie, né negozi di giocattoli. Questa volta S. Pietro fu veramente geniale; chiamò S. Lucia e la invitò a prendere la chiave d’oro dicendole di seguirlo.”Apri la finestrella e guarda bene”disse Pietro. “Vedi là nello spazio?
Eccolo, lì c’é un cavallino, una bambola, un trenino, là c’é una trombetta, una trottola, li vedi? Sai cosa sono tutti quei giochi? Sono i giochi superflui, inutili, abbandonati e dimenticati dai bambini viziati e mai contenti. I giochi sono come le persone, cercano compagnia e, se nessuno li vuole più, preferiscono andare nello spazio, sperando d’incontrare qualche bimbo disposto a giocare con loro.. su’ dai forza, prendine quanti ne vuoi e portali a chi ne ha veramente bisogno” concluse Pietro. “Oh, nonno Pietro, grazie, grazie di cuore” disse S. Lucia e cominciò ad afferrare tutti quei giocattoli abbandonati. La santa lavorò fino alla sera del 12 dicembre e mise tutti i giocattoli in grandi sacchi che appoggiò sulle spalle. Ma cara Lucia, così non arriverai mai con tutto quel carico,pesa troppo” disse Pietro e col suo vocione esclamò: ” C’é qualcuno qui che sarebbe disposto ad aiutare S. Lucia?” “Iho…Iho…”Tu, mio dolce asinello? Se a Lucia va bene, andrà bene anche a me” disse Pietro guardando la santa. “Bravo asinello, tu sarai il mio fedele accompagnatore, vedrai, quando ci vedranno i bambini che gioia sarà per loro”disse Lucia accarezzando la generosa bestiola. Ecco come nacque il viaggio di S. Lucia e del suo asinello; da allora non hanno mai mancato all’appuntamento ogni 13 dicembre con i bambini buoni e bravi.
Da: ilpaesedeibambinichesorridono

La nascita di Gesù da colorare

Il Salvatore atteso dalle genti  è salutato come “Astro sorgente”, la stella che indica la via e guida gli uomini, viandanti tra le oscurità e i pericoli del mondo, verso la salvezza promessa da Dio e realizzata in Gesù Cristo.

             Benedetto XVI 

La nascita di Gesù  da stampare e colorare e magari ricavare un libretto da regalare a Natale.

Stella con Gesù Stella con angelo Stella con albero stella con pallina la stella con casa Stella con doni

Semplici disegni per la scuola che ci aiutano a spiegare il significato del Natale e l’ origine di alcune leggende  e tradizioni.

biglietto di natale

Le leggende e racconti di Natale

L’alberello poverello

La fiaba

C’era una volta in un villaggio lontano lontano, un povero falegname. Questo falegname era tanto buono, sempre disponibile ad aiutare coloro che ne avevano bisogno, ma ahimè era anche tanto povero e viveva di stenti. L’unico modo che aveva per sopravvivere, era avventurarsi nei boschi e cercare legna pregiata e robusta per i ricchi signori. Il falegname avrebbe tanto voluto cercare un altro lavoro, e guadagnare tantissimi soldi, ma non per arricchirsi. Non aveva nessuna intenzione di diventare arrogante e vanesio come i nobili, con cui era costretto a trattare per potersi assicurare un piatto di minestra calda sulla sua misera tavola. Assolutamente no, il suo progetto era quello di racimolare il denaro necessario per comprare cibo e balocchi alle famiglie, che non potevano permetterseli. Il buon falegname era fatto così, i bisogni e le necessità degli altri (soprattutto dei bambini) venivano prima delle sue, e ciò che lo preoccupava maggiormente, era che il giorno di natale si faceva sempre più vicino.

Quella sera, mentre il falegname si trovava nel bosco, alla ricerca di torba profumata per il caminetto del sindaco, una voce forte e sicura riecheggiò fino al suo orecchio.

“Falegname, falegname!”

L’uomo si voltò spaventato, ravvivò la luce della sua lanterna e si guardò bene attorno. Era buio, il cielo era appena illuminato da una timida mezzaluna e da qualche puntina di stella. Forse qualcuno, approfittandosi dell’oscurità della notte, si era nascosto dietro ad un albero e aveva deciso di fargli uno scherzo. Si, doveva essere sicuramente così. Aveva già immaginato quel burlone sghignazzare dal suo nascondiglio, e lui come uno sciocco, era cascato in quello stupido scherzo. Scosse la testa e decise di non ricambiare la burla. L’ora era tarda, ed il freddo e l’umidità avevano cominciato a penetrargli nelle ossa. Gli ci mancava solamente un malanno! Prima terminava il suo lavoro e prima sarebbe ritornato alla sua casetta a godersi il calduccio del letto. Pose la lanterna su una roccia e continuò a caricare la sua carretta di torba. Ma nuovamente quella strana voce si fece risentire.“Hey tu, falegname. Lascia perdere la torba e ascoltami.”

“Ora basta!” gridò l’uomo “non ho tempo per questi stupidi scherzi. Ho del lavoro da sbrigare, ho un’importantissima consegna domani mattina. E se non porto a termine ciò che ho iniziato, domani non mangio!”

“Non è uno scherzo” replicò la voce sconosciuta “sono proprio qui, vicino a te. Ho bisogno del tuo aiuto.”

“Ma si può sapere chi è che parla?” urlò nuovamente il falegname.

Riprese la lanterna e si riguardò attorno, ma non c’era nessuno. Camminò in tondo per un po’ tenendo il braccio alzando e cercando di fare luce in ogni angolo buio della boscaglia, ma con insuccesso. Non riusciva proprio a capire chi gli avesse rivolto la parola.

“Ma insomma, possibile che non capisci? Sono davanti a te!”

Il falegname stupito, tese il braccio di fronte a sé, e alla luce della lanterna vide un piccolo albero dai rami rinsecchiti, ricoperto da un fogliame piuttosto spoglio e senza colore.

“Ah finalmente.” Rispose l’albero.

“M … ma com … come è possibile? Sei stato proprio tu a parlarmi?”

“Si, si. Sono stato io. So che ti sembra strano, ma non sono un albero come tutti gli altri, io sono molto speciale. Mi chiamano L’alberello poverello. Ma ora non c’è tempo per le spiegazioni. Io so tutto su di te, carissimo falegname. So che sei una persona onesta e leale, e che aiuti sempre chi è in difficoltà. So anche che vuoi cercare un altro lavoro per avere una vita un po’ più dignitosa. Ebbene, questa è la tua notte fortunata. Il caso ha voluto che io passassi proprio di qui per le feste natalizie. So che i bambini di questo posto vogliono un grandissimo albero di natale al centro della piazza, ma nessuno, nemmeno il sindaco può permettersi di acquistarlo. Se tu ora mi abbattessi e mi ripiantassi nella pubblica piazza, saprò come rendere felici tutti quanti.”

“Ma” rispose il falegname “ sei piccolo e secco, i tuoi rami sono a malapena ricoperti dalle foglioline, come puoi pensare che il mio aiuto possa esserti favorevole?”

“Basta chiacchiere” replicò l’albero “faresti meglio a non sottovalutarmi. Abbattimi e ripiantami nel luogo che ti ho indicato. Saprò come ricompensarti.”

Il falegname sempre più incredulo, afferrò la scure e accontentò la richiesta del bizzarro alberello.

I giorni passarono in fretta ed arrivò il sospirato 25 dicembre. Il falegname, ricordandosi della sua buffa vicenda, si incamminò verso la piazza del paese. Fece molta fatica a raggiungere il centro del piazzale poiché era affollato. Da ogni parte c’erano uomini, donne e bambini festanti, con dei pacchi nelle loro mani e urlavano felici tra di loro Che bello! Che bello!

Arrivato a destinazione, il falegname rimase stupefatto. Un grandissimo albero di natale si presentava imponente e maestoso davanti agli occhi di tutti. Ai suoi piedi, c’era un cartello con una scritta a caratteri cubitali Questo regalo proviene da chi ha sempre provveduto a riscaldare le vostre fredde giornate, cercando legna per i vostri camini.

“Carissimo” intervenne il sindaco, dando una pacca sulla robusta spalla del buon uomo. “Hai avuto davvero un’idea geniale, i paesani sono felicissimi e come primo cittadino, ho il diritto e il dovere di premiarti. D’ora in poi sarai al mio servizio, avrai una casa nuova e il tuo stipendio sarà triplicato. Buon natale amico mio.” Detto questo, si allontanò trotterellando e fischiettando allegramente.

“Buon natale” rispose il falegname con voce flebile. Di colpo riguardò l’albero, e il birichino ricambiò il suo sguardo agitando lievemente la sua folta chioma. Pieno di gratitudine, il falegname si allontanò lasciando libero spazio ai bimbi, che gioiosi, scartavano i loro pacchi. Ebbene si, L’alberello poverello così minuscolo e insignificante, aveva mantenuto le sue promesse diventando grandissimo e generosissimo per gli altri.

Licia Calderaro
Fonte

 Il primissimo albero di Natale
Babbo Natale stava attraversando il bosco. Era di cattivo umore. Il suo cagnolino bianco, che di solito gli correva davanti con gioia, se n’accorse e s’insinuò dietro il suo padrone con la coda tra le gambe. Non provava più soddisfazione nel suo lavoro. Tutti gli anni era la stessa storia. Non c’era più entusiasmo. Giocattoli, cibi, alla lunga non servivano più. I bambini si divertivano certamente, ma lui voleva che urlassero, esultassero, e cantassero, ma ormai lo facevano sempre più di rado.
Babbo Natale si era lambiccato il cervello tutto il mese di dicembre per escogitare qualcosa che riportasse la vera gioia natalizia nel mondo dei bambini, una gioia a cui prendessero parte anche gli adulti. Ma niente.
Così procedeva faticosamente dentro la foresta innevata, fino a quando non giunse ad un incrocio. Lì aveva un appuntamento con Gesù Bambino, con il quale si consigliava sempre sulla distribuzione dei doni. Già da lontano vide che Gesù Bambino era già arrivato, perché in quel punto c’era un chiarore luminoso.
Il Bambin Gesù indossava un abitino bianco di pelliccia e il suo volto era tutto un sorriso: “Come va, vecchio mio?”, chiese Gesù bambino. “Hai la luna storta?” Allora se lo prese a braccetto e andò via con lui. Dietro di loro trotterellava il cagnolino, ma non sembrava più triste e la coda ora era alzata, baldanzosa.
“Sì”, disse Babbo Natale, ” non mi diverto più. Che sia colpa dell’età o d’altro, non lo so. Il fatto è che dopo i dolcetti, le mele e le nocciole, è finito tutto. Finiscono di mangiarle e la festa è finita. Bisognerebbe trovare qualcosa di nuovo.”Gesù Bambino fece un cenno di approvazione con la testa ed assunse un’espressione pensierosa; poi disse: “Hai ragione, vecchio mio, ci ho pensato anch’io, ma non è così facile.” “E’ proprio questo” brontolò Babbo Natale, “sono ormai troppo vecchio e troppo sciocco. Mi è già venuto un bel mal di testa a forza di pensarci, ma non mi viene in mente proprio niente di divertente”.
Pensierosi, andarono entrambi attraverso il bosco bianco, Babbo Natale con il volto burbero e Gesù Bambino meditabondo. Nella foresta tutto era silenzioso, non si muoveva niente, soltanto quando la civetta si sedeva sopra un ramo, cadeva, con un rumore sommesso, un pezzetto di quella specie di decorazione che forma la neve appena caduta. La luna splendeva chiara e luminosa, tutte le stelle luccicavano, la neve pareva argento e gli abeti stavano lì, neri e bianchi, era proprio uno splendore.
Un abete alto cinque piedi che stava da solo in primo piano appariva particolarmente incantevole. Era ben proporzionato, su ogni ramo c’era una striatura di neve, sulle punte dei rami dei piccoli ghiaccioli, e così scintillava e luccicava al chiaro di luna. Gesù Bambino lasciò andare il braccio di Babbo Natale e diede un piccolo colpo al vecchietto in segno d’intesa, indicò l’abete e disse: “Non è semplicemente meraviglioso?” “Sì”, disse il vecchietto, “ma questo a cosa mi serve?”. “Tira fuori un paio di mele”, disse il Bambin Gesù, “mi è venuta un’idea.”Babbo Natale fece una faccia stupita perché non riusciva a immaginare come a Gesù Bambino fosse venuto voglia di mangiare delle mele ghiacciate con quel freddo.
Staccò la sua cinghia, adagiò il suo enorme sacco nella neve, frugò dentro e allungò un paio di belle mele.”Adesso tagliami qualche cordicella in due pezzi lunghi un dito e fammi dei piccoli paletti”, disse Gesù Bambino. Al vecchietto tutto questo parve un po’ buffo, ma non disse nulla e fece quello che gli aveva detto Gesù Bambino. Quando ebbe preparato le cordicelle e i paletti, Gesù Bambino prese una mela, gl’infilò dentro un paletto, legò attorno il filo e lo appese ad un ramo.
“Così”, disse, “ed ora tocca agli altri e tu mi puoi aiutare, ma fa attenzione, che non cada giù neppure un fiocco di neve!” Il vecchietto lo aiutò, sebbene non sapesse perché, ma la cosa lo divertiva e non appena l’intero alberello fu carico di belle mele rosse, si allontanò cinque passi, si mise a ridere e disse: “Guarda, quanto è grazioso! Ma che senso ha tutto ciò?”. “C’è proprio bisogno che tutto abbia uno scopo?” rise Gesù Bambino. “Stai attento, che lo faccio ancora più bello. Adesso dammi anche le nocciole!”
Il vecchietto fece scivolare fuori del suo sacco delle noci e le diede a Gesù Bambino. Infilò in ognuna un bastoncino, ci attaccò un filo e l’appese tra le mele. “Cosa ne dici adesso, vecchio mio?” domandò, “non è la cosa più bella del mondo?”. “Si”, disse, “ma non so ancora…” “Vieni dai!” rise Gesù Bambino. “Hai delle luci?”.Ora, l’alberello stava lì sulla neve, dai suoi rami innevati facevano bella mostra di sé le mele rubiconde, le nocciole d’oro e d’argento brillavano e luccicavano, e le candele di cera gialle ardevano festosamente. Con il suo viso bianco e roseo Gesù Bambino era tutto sorridente e batteva le mani, il vecchio Babbo Natale non sembrava più così di cattivo umore e il cagnolino saltava di qua e di là e abbaiava. Quando le luci ebbero finito un poco di bruciare, Gesù Bambino agitò le sue ali d’oro e d’argento e le luci si spensero. Disse a Babbo Natale di segare l’alberello con cura.
Poi scesero entrambi dalla montagna portandosi dietro l’alberello variopinto. Quando arrivarono al paese tutti dormivano. Si fermarono alla casa più piccola. Gesù Bambino aprì la porta piano piano ed entrò; Babbo Natale gli venne dietro. Nella stanza c’era uno sgabello a tre gambe. Lo misero sul tavolo e c’infilarono l’albero. Babbo Natale pose sotto l’albero ancora tante belle cose, giocattoli, dolci, mele e nocciole, e poi tutti e due lasciarono la casa in punta dei piedi, come erano entrati. Quando l’uomo a cui apparteneva la casetta, la mattina seguente, si svegliò e vide l’albero variopinto, rimase stupito e non sapeva che cosa dire.albero di natale
Accese le luci dell’alberello e svegliò la moglie e i bambini. C’era una tale atmosfera di gioia nella casa come non c’era stata mai durante i Natali passati. Nessun bambino badava ai giocattoli, ai dolci, e alle mele, tutti guardavano solamente l’albero con le luci. Si presero per mano, ballarono intorno all’albero e cantarono tutti le canzoni di Natale che sapevano.
Quando fu giorno pieno vennero gli amici e i parenti del minatore, guardarono l’alberello, si rallegrarono e andarono subito nel bosco, per andare a prendersi anche loro un alberello per i loro bambini. Le altre persone che videro questi, li imitarono, ognuno si prese un abete e lo decorò, chi in un modo, chi in un altro, ma luci, mele e nocciole le mettevano tutti quanti. Quando si fece sera ardeva in tutto il villaggio, casa per casa, un albero di Natale, dovunque si sentivano canzoni di Natale e il giubilo e le risa dei bambini.
Da lì l’albero di Natale ha fatto il giro di tutta la Germania e da lì del mondo intero.
La leggenda delle palline di Natale
pallina con renna

Nella grotta di Betlemme, da pochi giorni, era nato il Bambino Gesù.

Tutti andavano a rendergli omaggio portandogli dei doni.

Un artista di strada, molto povero, si trovava a Betlemme proprio in quei giorni e voleva andare a salutarlo, ma non aveva nemmeno un dono da portargli.

Dopo qualche esitazione decise di recarsi alla grotta e di andarlo a trovare. Gli venne in mente un’idea, fare quello che gli riusciva meglio: il giocoliere.

E così tirò fuori dalla sua sacca alcune palle e cominciò, abilmente, a farle ruotare in aria, facendo ridere il piccolo bambino.

Da quel giorno per ricordarci delle risate di Gesù Bambino si appendono delle palline colorate all’albero di Natale.

http://www.favolefantasia.com/6701/la-leggenda-delle-palline-di-natale.html

Il pianeta degli alberi di Natale
lavoretto natale

Gianni Rodari

Marco, bambino terrestre, era andato a trovare Marcus, bambino spaziale.
incontrarono alla stazione interplanetaria.
Lì cominciava la città spaziale, che assomigliava alle città terrestri, con strade, case e piazze.
Ai lati di un viale crescevano due lunghissime file di abeti.
Sui loro rami brillavano stelle, lampadine e palloncini lucenti, rossi, gialli, blu. Erano alberi di Natale.
Scusa – domandò Marco – ma che giorno è oggi?
È Natale – rispose Marcus allegramente.
Intanto si erano avvicinati a un deposito di cavalli a dondolo: Marcus ne scelse uno, con una sella a due posti e invitò Marco a montare in groppa.
Questi sono i nostri «robot» e servono per i trasporti pubblici, come i taxi – spiegò Marcus.
Il cavallo a dondolo partI senza scosse e senza rumore, scivolando come una barca sull’acqua.
Centinaia e centinaia di alberi di Natale grandi e piccoli spuntavano dappertutto, persino sui tetti e nei vasetti da fiori che stavano sui balconi.
A Marco venne un dubbio e chiese: – Marcus, ieri che giorno era?
Natale – rispose Marcus senza esitare.
E che giorno sarà domani?
Natale, Marco, Natale: te l’ho già detto.
Ma se Natale era ieri!…
Ieri, oggi, domani, tutti i giorni. È Natale tutti i giorni, da noi.

La storia di Babbo Natale
A Nord del Circolo Polare Artico, nell’Europa settentrionale, esiste una regione: la Lapponia
In questa terra viveva un giorno un simpatico vecchietto….

Questa è la vera  storia (o quasi) di BABBO NATALE!In una capanna del bosco, circondata da abeti, vicino ad un allegro ruscello d’acqua limpida e fresca viveva Natale, il quale si dedicava ogni giorno a coltivare il suo orticello,  a curare le sue renne e ad intagliare il legno, vivendo tranquillamente.
Vestiva sempre di rosso, il suo colore preferito.
Era un vecchietto assai buono e generoso con una lunga barba bianca ed aiutava spesso senza tirarsi mai indietro tutti i suoi vicini.
Un giorno pensò che era troppo poco quello che stava facendo e si mise a pensare: voleva trovare un modo per poter  dare agli altri qualcosa di più.

Quella sera fece un sogno:

Nel sogno gli apparve un angioletto: era molto bello e grazioso
e, con una dolce vocina, gli spiegò che nel mondo c’erano tanti bambini ma tanti di questi erano poveri e non potevano permettersi niente, anche loro come tutti gli altri bambini più fortunati desideravano dei giocattoli, ma non avrebbero mai potuto averli, il cuore dell’angelo era colmo di tristezza e un lacrima gli scorreva lungo il viso, Natale che era molto sensibile chiese all’angioletto cosa poteva fare per far spuntare sui visi di tutti i bambini un sorriso e un po’ di felicità nei loro cuori.

L’angioletto rispose che, se Natale voleva, poteva aiutarli sarebbe dovuto partire caricando sulla sua slitta trainata dalle sue renne un sacco pieno di doni da consegnare a ciascun bambino la notte santa, quando nacque Gesù.

“Ma dove posso trovare i giocattoli per tutti i bambini del mondo? E come posso farcela a consegnarli tutti in una sola notte e ad entrare nelle case? Ci saranno tutte le porte chiuse!” si chiese Natale.

L’angioletto gli disse che Gesù Bambino l’avrebbe aiutato a risolvere ogni problema.

Fu così che Gesù Bambino nominò Natale papà di ogni bambino donandogli il nome di Babbo Natale!

I primi giochi che Babbo Natale regalò furono costruiti con le  sue stesse mani: intagliò nel legno bambole, macchinine, pupazzi ed ogni sorta di giocattolo.

Gesù Bambino assegnò a Babbo Natale degli Elfi che altro non erano che piccoli angeli dalla faccia simpatica che lo aiutavano a costruire i giocattoli, a caricarli sulla slitta e a consegnarli in tempo ogni anno la sera di Natale!

Gesù bambino fece anche un piccolo miracolo: concesse alla slitta e  alle otto renne il dono di poter volare nel cielo.

Babbo Natale entra quindi quella notte in ogni casa calandosi dal camino e riempiendo le calze che ogni bimbo appende sotto al camino, come d’usanza,  e posando gli altri pacchetti più grossi sotto agli alberi di pino adornati a festa con luci e addobbi vari: palline, candeline, bastoncini di zucchero, e anche nelle case delle famiglie più povere gli alberi di pino venivano adornati con noci, mandarini, frutta secca, che profumavano l’aria di festa e che poi venivano mangiati in famiglia tutti insieme.

Grazie alla magia dell’amore fu così possibile a Babbo Natale di essere sempre puntuale la notte santa nella consegna dei suoi doni per poter far felici tutti i bambini del mondo! E portare un sorriso nei loro visi e nei loro cuori!

Fonte:lascatoladeisegreti

 

La pecorella disubbidiente

Nel presepe di Arianna c’era una pecorella disubbidiente.

La bambina l’aveva messa in fila col gregge sulla stradina di segatura, ma lei cascava giù.

Allora l’aveva messa in un prato di muschio accanto al fuoco rosso dei pastori, ma lei cascava giù.

Provò a metterla su una montagna di cartapesta. Ma anche lì cascava.

Ho capito! – disse Arianna –Forse vuoi stare accanto al Bambino Gesù!

E la pecorella fu messa nella capanna, col musetto vicino vicino a una manina di Gesù. Stava in compagnia del bue e dell’asinello…

La pecorella rimase lì ferma, buona buona, contenta contenta.

Aveva finalmente trovato il suo posto nel presepe.

Fonte:Favoleefantasia

 

La leggenda della befana

La notizia della nascita imminente del Salvatore si era sparsa per tutta la Palestina ed anche oltre.

I poveri, gli umili, i bistrattati, ma anche uomini potenti si misero in marcia per andare a Betlemme, dove la famiglia che aveva avuto la fortuna di ricevere l’incarico di mettere al mondo il Cristo fatto persona, si era recata per il censimento.

Andarono pastori con le loro greggi, portando doni: chi un agnello, chi una forma di formaggio di pecora, chi un piccolo sacco di grano, chi un pane appena sfornato nel forno di casa.

Dall’oriente anche tre re, così potenti da essere chiamati Magi, si misero in viaggio a dorso di cammello per andare a rendere il doveroso omaggio a colui che riconoscevano come molto superiore perfino a loro stessi, al loro prestigio e al loro potere.

Erano tre uomini giusti.

Portavano in dono dei regali degli del re dei re: l’oro, che dà potere, l’incenso, che eleva il suo fumo fino in cielo e consente di elevare le proprie suppliche fino a Dio, la mirra, la più rara e pregiata delle resine profumate, degna di essere usata solo dal re più grande.

Il viaggio era lungo, faticoso e non privo di pericoli.

I tre Magi erano colti, sapevano di religione, di filosofia, di astronomia, ma nonostante ciò venne loro un aiuto divino che indicasse il percorso: una stella cometa che indicava la strada.

I re partirono e, mano a mano, anche altre persone, dopo aver loro domandato dove andassero ed averne ricevuto la risposta, chiedevano di accodarsi e di accompagnarli nel viaggio, al fine di non perdersi nelle fredde notti del deserto e delle brulle montagne.

Alcuni seguivano a piedi, altri a dorso d’asino, ma tutti carichi di ciò che potevano donare, oltre che della loro fede e della speranza in colui che veniva a liberarli e salvarli.

Ad ogni villaggio, ad ogni capanna isolata la domanda era sempre la stessa: “Dove andate, o potenti re?” e la risposta pure non cambiava: “Andiamo a vedere la nascita del Messia e a rendergli omaggio; vuoi venire con noi?”.

E così il corteo aumentava e la sera, accanto ai fuochi accesi per scaldarsi e cucinare, tutta quella gente cantava salmi di deferenza e di felice speranza.

Naturalmente non tutti seguivano il corteo: c’erano coloro che non credevano, coloro che erano indecisi, coloro che erano troppo pigri per intraprendere quel viaggio lungo e faticoso.

Giunti a circa metà del loro lungo viaggio, i tre re e il loro corteo giunsero in un piccolo villaggio, talmente piccolo da non avere neppure un nome ed anche qui si ripeté l’usuale interrogatorio sulla loro destinazione.

Poco fuori dal villaggio, in una misera casupola isolata, viveva una vecchina di nome Befana; al vedere quel passaggio di gente guidata da quegli uomini imponenti sulle loro cavalcature, anche Befana uscì dalla sua casa e si fece incontro ai tre Magi: “Scusate se ho l’ardire di rivolgervi la parola, o potenti signori, ma potrei sapere dove va questo vostro corteo? Sapete, qui non succede mai nulla e non si sa mai nulla”.

Con infinita pazienza e con dolcezza Melchiorre rispose: ”La profezia sta per avverarsi: sta per nascere il messia, il liberatore, colui che ci salverà dal male e noi e tutta questa gente stiamo andando ad assistere a questo momento storico, il più importante per gli uomini giusti e di buona volontà: vuoi unirti a noi? La cometa nel cielo ci guida di giorno e di notte e poi siamo in tanti e i predoni del deserto non oseranno attaccarci”:

La vecchia ci pensò un poco, scuotendo la testa, poi rispose: “No, grandi signori, sono vecchia, ho paura di non avere più le forze per un viaggio così lungo, e poi ho il pane e i biscotti nel forno e devo attendere di aver finito la loro cottura. Anzi, se aspettate posso darvi dei biscotti caldi per voi e per il messia”.

Questa volta a parlare fu Baldassarre: “Ti ringraziamo per la tua offerta, ma siamo già in ritardo e contiamo di arrivare a destinazione quando il messia sarà già nato da un paio di settimane, quindi non possiamo attendere oltre. Comprendiamo le tue ragioni, ma non possiamo aspettare oltre”.

Ciò detto ripresero il viaggio, seguiti dal loro corteo.

Befana rimase sola, col comignolo del forno che fumava e i suoi pani e biscotti che lievitavano e si doravano.

Non passò molto tempo che la donna si accorse che era rimasta sola nel villaggio, che tutti, uomini, donne e bambini, avevano seguito il corteo dei tre re.

Si rese anche conto che era vecchia, che aveva vissuto una vita sciatta, senza affetti, senza slanci e novità ed ora che le si presentava l’ultima occasione di darle un senso, aveva gettato l’opportunità per non fare bruciare i biscotti.

Corse in casa e raccolse in un sacco i suoi pani, i suoi biscotti, poche cose, legò il sacco ad una scopa da trascinarsi dietro, visto che questo pesava troppo per portarlo in spalla, e si mise in cammino quando, però, ormai non si vedeva più né il corteo dei Magi, né la stella che li guidava.

Sapeva vagamente verso quale direzione viaggiavano, ma nel deserto dove tutto è uguale è facile perdersi e perdere l’orientamento.

Così, ogni volta che vedeva un camino fumare, bussava alla porta e, offrendo in cambio i suoi dolciumi, chiedeva informazioni sul corteo, se fosse passato di lì e che direzione avesse preso.

Più volte s’accorse di avere sbagliato strada, di essersi perduta, allora chiedeva ospitalità presso qualche casa e faceva nuovi biscotti da offrire in cambio di informazioni.

Aveva sbagliato, aveva peccato in pigrizia ed ora era pentita e quell’errare per tutta la Palestina era la sua punizione: offrire dolciumi ai bambini e riceverne in cambio un sorriso, era la sua espiazione.

Passarono i giorni ed oramai il Messia era nato, i Magi erano giunti a lui, avevano posato ai piedi della sua culla, ricavata da una mangiatoia, i loro preziosi doni, mischiati a quelli più semplici, ma altrettanto preziosi per i fedeli che li avevano recati lì, avevano pianto davanti a quel neonato, così piccolo e così potente.

La vecchia Befana girava ancora per i villaggi, regalava biscotti, ne infornava altri, chiedeva informazioni, ma oramai la gente non ricordava più, la cometa era sparita verso altri mondi, altre stelle e galassie, ma la donna non si arrese mai ed ancora oggi visita le case dove c’è un camino acceso e vi deposita doni, sperando che uno dei bambini che vi dimorano sia il messia che lei non ha potuto vedere ed onorare.

Così Befana non può morire, ed ogni anno ricompare in occasione del natale del Messia, anche se non sa che oramai ha scontato il suo peccato regalando sorrisi ai bambini.

Fonte: Tiraccontounafiaba

LA STORIA DEGLI ANGELI DELL’AVVENTO
Gli angeli dell’Avvento sono quattro, proprio come le quattro settimane che preparano al Natale. Vengono in visita sulla Terra, indossando abiti di un colore diverso, ciascuno dei quali rappresenta una particolare qualità.

L’angelo blu. Durante la prima settimana un grande angelo discende dal cielo per invitare gli uomini a prepararsi per il Natale. E’ vestito con un grande mantello blu, intessuto di silenzio e di pace.
Il blu del suo mantello rappresenta appunto il silenzio e il raccoglimento.

L’angelo rosso. Durante la seconda settimana un angelo con il mantello rosso scende dal cielo, portando con la mano sinistra un cesto vuoto. Il cesto è intessuto di raggi di sole e può contenere soltanto ciò che è leggero e delicato. L’angelo rosso passa su tutte le case e cerca, guarda nel cuore di tutti gli uomini, per vedere se trova un po’ di amore…
Se lo trova, lo prende e lo mette nel cesto e lo porta in alto, in cielo. E lassù, le anime di tutti quelli che sono sepolti in Terra e tutti gli angeli prendono questo amore e ne fanno luce per le stelle.
Il rosso del suo mantello rappresenta l’amore.

L’angelo bianco. Nella terza settimana un angelo bianco e luminoso discende sulla terra. Tiene nella mano destra un raggio di sole. Va verso gli uomini che conservano in cuore l’amore e li tocca con il suo raggio di luce. Essi si sentono felici perché nell’Inverno freddo e buio, sono rischiarati ed illuminati. Il sole brilla nei loro occhi, avvolge le loro mani, i loro piedi e tutto il corpo. Anche i più poveri e gli umili sono così trasformati ed assomigliano agli angeli, perché hanno l’amore nel cuore. Soltanto coloro che hanno l’amore nel cuore possono vedere l’angelo bianco…
Il bianco rappresenta il simbolo della luce e brilla nel cuore di chi crede.

L’angelo viola. Nella quarta e ultima settimana di Avvento, appare in cielo un angelo con il mantello viola. L’angelo viola passa su tutta la Terra tenendo con il braccio sinistro una cetra d’oro. Manca poco all’arrivo del Signore.
Il colore viola è formato dall’unione del blu e del rosso, quindi il suo mantello rappresenta l’amore vero, quello profondo, che nasce quando si sta in silenzio e si ascolta la voce del Signore dentro di noi.

Fonte:Nataleeauguri

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